In Italia è emergenza “povertà digitale”: il 50% di chi non lavora è offline

by Martina Trevisan

Il digital divide non è solo strutturale . La “povertà digitale” può essere anche cognitiva/comportamentale . Emerge dal rapporto realizzato da Censis e Centro Studi Tim – “La digitalizzazione degli italiani. Fattori di spinta ed elementi trainanti” secondo cui “le competenze digitali sono fortemente influenzate dal far parte o meno della popolazione attiva”. Per questo “nessuno deve rimanere escluso”, ha detto l’ ad di Tim, Luigi Gubitosi intervenendo alla presentazione del report. La battaglia – ha sottolineato – non è più quella contro il digital divide dovuta alla mancanza di infrastrutture ma contro una più ampia fragilità digitale .

Il gap digitale fra gli “inattivi”

I fattori che frenano l’uso del digitale

La sfida del lockdown

Gubitosi: “Nessuno rimanga escluso”

Il gap digitale fra gli “inattivi”

Tra gli occupati la quota di chi è in difficoltà supera di poco il 5%, ma sale all’11,3% tra i disoccupati e arriva fino a quasi la metà degli inattivi (44,6%) . Il basso tasso di attività delle donne in Italia (55,2% in totale, ma sotto il 40% in alcune regioni del Sud), non favorisce l’inclusione digitale. Chi non è impegnato in un’attività lavorativa (che nel 78,7% dei casi implica l’utilizzo di mezzi digitali), ha molte meno occasioni per utilizzare e sviluppare le proprie competenze digitali .

I fattori che frenano l’uso del digitale

Il report accende i riflettori sulle donne: il basso tasso di attività delle donne in Italia (55,2% in totale), ma sotto il 40% in alcune regioni del Sud, non favorisce l’inclusione digitale.

Inoltre in Italia il digital divide “è fortemente correlato con il livello di istruzione . Tra coloro che dispongono al massimo della terza media le persone in difficoltà sono la maggioranza (58,7%)”. Anche se non si può trascurare che una quota di persone esposte al digital divide è presente anche tra chi possiede un titolo di studio superiore (15,8%)”.

La sfida del lockdown

Durante gli anni di pandemia è emerso che per aver accesso ad internet chi non aveva le giuste competenze ha provato ad arrangiarsi per superare il lockdown: “ Le persone con scarse competenze digitali, in particolare gli anziani, si sono appoggiate su familiari e conoscenti . Pochi hanno dovuto rinunciare. In futuro si percepisce una maggiore disponibilità a mettersi sotto sforzo personalmente, in parte anche attraverso momenti di formazione”.

Tra le paure, la preoccupazione maggiore è la sicurezza. Il 39,9% arriva ad ammettere di limitare la navigazione al minimo indispensabile . La domanda di sicurezza si rivolge verso l’esterno: l’81,1% degli utenti vedrebbe favorevolmente una limitazione su siti ritenuti potenzialmente dannosi .

Resta anche un divario per età: fino a 44 anni le competenze digitali medie dei cittadini sono tali da poter fronteggiare qualsiasi esigenza. Tra i 45 e i 65 anni il 17,1% dei cittadini entra in sofferenza (3,1 milioni di persone in età lavorativa). Oltre i 65 anni il problema si moltiplica e l’area del disagio copre il 61,9% del totale (circa 8,6 milioni di persone).

Gubitosi: “Nessuno rimanga escluso”

Nel 2026 “vedo un’Italia in cui  dovrebbe essere stata completata la rete , dove continuiamo a  fare progressi: siamo passati da un giga a due e mezzo, fino  ad arrivare a dieci – ha detto Gubitosi -. Il progresso è continuo, e  dobbiamo garantire che lo sia anche per le competenze: nel 2026 ci sarà un’Italia che funzionerà meglio , e tante cose che oggi sembrano dei miracoli saranno scontate”, ha detto.

“Oggi ci stiamo concentrando sulla fragilità digitale -ha proseguito – che tende a manifestarsi in vari modi e creare situazioni di disagio: quando l’esclusione deriva da mancanza di connessione o di device si risolve facilmente , è solo una questione di soldi. Ma il tema è evitare divari di competenze, non c’è solo l’andare in Rete, ma anche il sapere interpretarla”.

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